Traguardare # 1

 

 


Traguardare # 2

 

 


Traguardare # 3

 

 


Traguardare # 4

 

 


Traguardare # 5

 

 

 

Traguardare

La bellezza non è insita in nulla; bisogna trovarla, con un altro modo di vedere, nonché un’idea più ampia del significante, illustrata e vigorosamente rafforzata dagli usi molteplici della fotografia.
Susan Sontag, Sulla Fotografia. Realtà e immagine nella nostra società1



Traguardare, così come riportato alla voce del dizionario della lingua italiana, v. tr. [comp. di tra- e guardare], non com. – 1. Propr., guardare attraverso, ossia guardare un oggetto tra due punti di mira di uno strumento, in modo da allinearlo rispetto al raggio che va dall’oggetto all’occhio: si traguarda, per esempio, un bersaglio prendendo la mira con un’arma dotata di tacca e mirino. 2. Guardare di sottecchi, con le ciglia abbassate: il lume ha grave ormai degli occhi; Traguarda e dice: «Uomini dove siete?» (Pascoli); anche spiare, spingere lo sguardo (o, nell’esempio seguente, la luce) tra cose che facciano impedimento: Il sol traguarda basso ne la pergola (Carducci)2.
Ecco che il verbo assume un significato che va a definire l’atto del guardare, un’azione se vogliamo sotto moltissimi punti di vista, automatica, meccanica, un po’ come respirare, perciò spesso lo facciamo senza preoccuparci di quale o casa diventi il nostro punto d’interesse e perciò il soggetto-oggetto che costituisce l’obiettivo della nostra visione. Guardare tra, attraversare con lo sguardo, compenetrare con lo sguardo, fino ad oltrepassare, superando la soglia dell’ordinario gesto oftalmico per scavare nei dettagli che appartengono alla complessa costruzione che l’immagine ci offre.
Traguardare diviene pertanto il titolo del progetto specifico concepito da Giovanni Oberti per questa particolare occasione, attraverso il quale non prova a suggerirci una vera e propria chiave di lettura delle opere presentate ma una delle differenti possibilità interpretative che la visione ci offre per ampliare la nostra esperienza delle cose nel mondo.
Una strada, questa, già battuta in precedenza dall’artista che non perde l’occasione per mettersi continuamente in gioco riformulando, modificando e accrescendo le personali abilità nel gestire materiali e tecniche spesso improprie per piegarle secondo le più disparate esigenze che i progetti richiedono.
Artista versatile, classe 1982 bergamasco di origine ma meneghino di adozione, cresciuto e formatosi – come del resto molti artisti della sua generazione – a stretto contatto con le tecnologie analogiche per poi spostare il proprio bacino d’interesse verso le più recenti e aggiornate conquiste che il digitale ci mette a disposizione.
Oberti si muove in un territorio ampio, impervio e complesso all’interno del quale persegue la sua singolare ricerca alternando alla tradizione l’innovazione ma soprattutto spostandosi in un magma creativo che tiene insieme disegno, pittura, scultura, installazione, animazione e fotografia
Come già scrivevo qualche anno fa « […] quest’intervento – come del resto Oberti ci ha da tempo abituati – intende affrontare ed analizzare la visione e con essa lo stretto legame che intercorre tra lo spazio e l’opera in un serrato gioco percettivo, frutto di repentine traslazioni del punto di vista, che si muove tra rimandi e similitudini legandosi al tempo e alle forme in esso prodotte»3.
Così facendo l’artista si allontana dalla “collettività” per produrre una nuova condizione attraverso la creazione di uno spazio-tempo alternativo, volendo supplementare, grazie al quale introdurre ulteriori possibilità di visione e d’interpretazione.
Tutte modalità, queste, che restano dentro all’arte e alle sue “categorie”, mettendole in forse, interrogandole e portandole al limite, all’interno di un’indagine che non intende affatto trovare la soluzione nell’immediato ma anzi forse la soluzione è solo l’epilogo ultimo nonché opzionale di una traiettoria definita da un persistente e riflessivo “esercizio” che l’artista ripete, in maniera sempre diversa4 – come direbbe A.B.O. per massaggiare il muscolo atrofizzato della vista – generante la visione, che soggettiva, si offre a traduzioni multiple da parte dell’osservatore.
Qui il racconto espositivo non chiama più in causa solo i limiti della nostra percezione ma prova ad interrogare la natura della percezione stessa, un approccio questo che avvicina l’atteggiamento di Oberti a quello assunto dagli artisti concettuali americani degli anni ’60, primo fra tutti Robert Barry.

Il progetto Traguardare è perciò da intendersi come la tessera recente di un più ampio mosaico della produzione dell’artista, che a partire dall’osservazione della società contemporanea e delle relative connessioni oggettuali e cronologiche, analizza attraverso le immagini aspetti tanto evidenti quanto nascosti della vita di tutti giorni.
Conscio di tutto questo, l’artista adotta un atteggiamento di “sopravvivenza”, rispetto alla crescente e incontrollabile produzione di immagini, utilizzando quanto la straordinaria banalità del quotidiano gli mette a disposizione per farne oggetto di riflessione e soggetto artistico.
Questo ciclo di fotografie – presentato qui per la prima volta – fa parte di un più nutrito corpus di immagini scattate con una fotocamera digitale istantanea
Il dispositivo fotografico istantaneo, viene qui assunto secondo la filosofia machiavelliana diventando non solo il mezzo – preferito per questa tipologia progettuale – per raggiungere lo scopo finale quindi l’obiettivo ma la possibilità di esperire liberamente attraverso la tecnologia le immagini casuali esistenti o le “composizioni” volutamente ri-cercate tra le visioni di tutti i giorni.
Facendo leva su questi elementi e muovendosi in una comfort zone compresa tra l’elevata quantità di immagini prodotte dalla società di massa5 e la diffusione esponenziale a costi democraticamente sempre più accessibili della tecnologia, Oberti prova a fare un passo indietro mettendosi sullo stesso piano di quanti producono immagini nel quotidiano.
Avvalendosi perciò di un dispositivo diversamente professionale l’artista esplora la realtà attraverso una visione fotografica che non vuole farci scoprire la bellezza in ciò che ognuno vede ma trascura ritenendola troppo banale e nemmeno la bruttezza o le meraviglie già conosciute che appartengono al mondo, ma al contrario vuole offrirci la possibilità di suscitare interesse con nuove decisioni visive.
Ecco che negli scatti in bianco e nero raccolti in Traguardare l’immagine pare emergere, silenziosa e rarefatta da un campo cromatico “morbido”, che per effetto della modalità automatica di messa a fuoco del dispositivo digitale adottato, da sfondo assurge a soggetto, invertendo la canonica visione che secondo le regole percettive ci portano solitamente a considerare le figure in primo piano come soggetto dell’immagine e quelle in secondo come sfondo e quindi come completamento della composizione.
Nel realizzare questi scatti, Oberti, non adotta né un approccio scientifico né il rigore matematico che più si addice a colui che intende catalogare o classificare soggetti, ma anzi ne emerge una sorta di conoscenza empirica che ci mette di fronte al suo sguardo poetico della realtà.
Perciò muovendosi da osservatore curioso, a tratti distratto come un flâneur si aggira tra le “composizioni” che gli si configurano dinanzi per offrirsi alla sua personalissima decisione visiva prima di essere condivise con il mondo come nuove immagini.
Da questo momento in poi il soggetto fermato per sempre nello scatto fotografico viene acquisito ad altissima risoluzione per ottenere un’immagine il più precisa possibile che successivamente verrà stampata ingrandita di una decina di volte rispetto all’originale ed esposta nella sua semplicità
Direttamente appesa alla parete, libera e morbida nella sua consistenza fisica, senza alcun hardware esteticamente accattivante o protettivo come la cornice, proprio per evidenziare e sottolineare ulteriormente il valore che l’artista attribuisce alla pura immagine priva di mediazione visiva se non quella dell’artista che l’ha messa al mondo.
Ecco che lo scarto ottenuto tra l’istantaneità della foto prodotta e la sua trasposizione indiretta – perciò l’ingrandimento in un tempo diverso – su un supporto nuovo e altro va in un certo qual modo a neutralizzare ab ovo la rapidità funzionale del dispositivo stesso avvicinando paradossalmente il processo digitale a quello analogico.
E grazie a questo gioco di inversioni tecniche l’artista lentamente fa emergere una realtà a tratti inedita non di ciò che non riusciamo a vedere ma di quanto rinunciamo a cercare. Analogamente è quanto si verifica nell’immagine in edizione e stampata in tiratura limitata su questo prezioso foglio che diviene parte integrante del progetto espositivo offrendosi come viatico alla lettura delle opere. Ecco stagliarsi su di un fondo disomogeneo bianco sporco un piccolo segno, anzi due, forse sopracciglia o piccoli archi, che però a meglio guardare ci accorgiamo trattarsi di un gabbiano che solca il vuoto cielo e rinnova quella dedica apposta da Richard Bach in apertura del suo romanzo «Al vero Gabbiano Jonathan che vive nel profondo di tutti noi»6. E se Bach utilizza il Gabbiano come metafora della vita e soprattutto di libertà, Oberti lo sceglie per indicarci un’alternativa alla visione e ricordarci che lo sguardo libero è capace di schiuderci nuove e inedite possibilità di Traguardare.

Gino Pisapia, 2018

1 Susan Sontag, Sulla Fotografia. Realtà e immagine nella nostra società (1978), tr. it. E. Capriolo, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2004, p. 149.
2 AA. VV., Dizionario della lingua italiana, a cura di G. Devoto – G. C. Oli, Le Monnier, Firenze 1971, p. 2525.
3 G. Pisapia, Paesaggi e figure della percezione, in «Arte e Critica» n° 85 anno XXIII (2016), p. 120.
4 A tal proposito se la differenza permette di cogliere l’essenza dell’Idea, svelandone la composizione fatta di rapporti differenziali e di singolarità ad essi corrispondenti per costituire ogni aspetto della realtà – sia essa virtuale o attuale – il concetto di ripetizione viene introdotto per poter rendere conto ad un tempo tanto del divenire delle cose quanto dell’esperienza che il soggetto ha di questo divenire. Si veda pertanto il complesso pensiero elaborato da Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione (1968), tr. it. G. Guglielmi, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997, pp. 45 e seg.
5 Rimando all’approfondimento dell’argomento trattato da Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, tr. It. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1998.
6 Richard Bach, Il Gabbiano Jonathan Livingston, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2014,