Senza titolo (Oggetti dipinti), 2011
Specchiera, carta, grafite, polvere
96 x 81 cm.

Untitled (Painted objects), 2011
Mirror, paper, graphite, dust
96 x 81 cm.

 

 

Manifesto of Darkness and Light.

Dark platform of Resistance from/to:
Light of light,
Of luminous light. All Lights of lights.


Voice be darkness! Yes! Hands that obscure! Yes! Intermittence!
In these times of the Empire of Lights of light, incandescent and blinding luminosity,
it becomes necessary to create spaces of darkness. Shadows able to give dimension
back to a reality flattened by an excess of visionless light.


Adriano Nasuti-Wood, Giustagnana, 2011

 

 


Senza titolo (Oggetti dipinti), 2011
Specchiera, carta, grafite, polvere
90 x 65 cm.
Collezione privata, Milano

Untitled (Painted objects), 2011
Mirror, paper, graphite, dust
90 x 65 cm.
Private collection, Milan

 

 

7a 2011 Giovanni Oberti Senza titolo (Oggetti dipinti)

Senza titolo (Oggetti dipinti), 2011
Lastra di vetro, carta, grafite, polvere
46,5 x 181 cm.

Untitled (Painted objects), 2011
Glass, paper, graphite, dust
46,5 x 181 cm.

 

 

 

Lo specchio si manifesta sparendo

Lo specchio si manifesta sparendo. Normalmente ci accorgiamo di essere di fronte a uno specchio quando percepiamo una realtà che per un attimo ci inquieta: quella persona che mi sta davanti sono proprio io. Per tener sotto controllo questo potenziale disturbante è fondamentale la presenza della cornice, e non si può evitare di pensare a quanto lo spec- chio sia un oggetto che assomiglia allʼarte, minaccia incandescente verso ogni identità, oltre che pietra di paragone per la mimesis.

Ora consideriamo questo specchio di foggia borghese e con un proprio passato, voltato, ricoperto compattamente con mani di grafie e appoggiato a una parete. Giovanni Oberti in più occasioni ha rivelato il “negativo” delle cose, magari nascosto del tempo o dallo spazio, e anche in questa occasione sembra emergere la forma di un calco. Se per Oberti la grafi- te rende visibile lʼastrazione, dal momento che tradizionalmente è il mezzo attraverso cui lʼidea ha la sua prima ricaduta sensibile facendosi progetto, questo “oggetto dipinto” non è una semplice scultura. Lʼimpressione è quella di unʼimmagine fluida (ma si può definire “immagine” quella prodotta da uno specchio?) riportata a una tangibile densità, come un fatto che corregga unʼillusione. Ma dietro alla guaina grigia cʼè una lastra che ha assorbito e rigettato una realtà ininterrotta, un vertiginoso condensatore di immagini fissato da un gesto pittorico particolarmente duro. È un sigillo a ciò che ha imbevuto il recto senza mai fuoriuscito dal verso, lʼemulsione per un tempo e uno spazio impigliati nello spessore del vetro e che non possiamo recuperare. Una superficie senza inganni non può produrre in- quietudini, ma diventa totalmente muta. Ora lʼoggetto ci appare come un elegante scudo, o un austero blasone. Qualcosa che, con violenza o garbo, ci tiene comunque a distanza.

Massimo Marchetti, 2012

 

 

 


Senza titolo (Oggetti dipinti), 2011
Specchiera, carta, grafite, polvere
80 x 112 cm.
Collezione privata, Bergamo

Untitled (Painted objects), 2011
Mirror, paper, graphite, dust
96 x 81 cm.
Private collection, Bergamo


 

 

L’eloquenza del niente


Per creare senso Giovanni Oberti fa la Scelta di togliere. Sottrarre al segno la sua pulsione ostensiva. Trasformarlo in traccia dell’assente. Con questa scelta si prende la responsabilità dei suoi rischi: su tutti, quello i compiacersi nell’uncinetto del concettuale. Ma nel contempo insegue le sue opportunità: la più apprezzabile è quella dell’eloquenza. L’essenziale che sa muovere il tutto. Di solito è un traguardo. Per Oberti invece un’ambizione di partenza.
Cosa significhi l’eloquenza del niente lo si vede bene qui. Uno specchio appoggiato, dalla parte del vetro riflettente, alla porta di un vecchio tabernacolo. Dello specchio, l’osservatore vede il dorso oscurato. Del tabernacolo, solo la cornice scenografica dell’altare. Difficile comprendere questo elementare e apparentemente opportunistico gesto di oscuramento senza conoscere la potente ambizione espressiva di un tabernacolo tridentino. Esso è il più spettacolare titanico assoluto evento di visione mai messo in scena nella storia.L’irradiazione visibile del Corpo di Cristo attraverso la materia di un segno di cui l’altare controriformistico è il monumentale reliquiario. Molti ragguagli di natura teologica andrebbero forniti per circostanziare opportunamente il fenomeno. Ma nonè qui il luogo. Interessa che questa appare come la più grande ambizione manifestativa che l’uomo abbia mai saputo concepire.
La porticina di un tabernacolo come la feritoia terrena attraverso cui vedere lo sfolgorante splendore divino. La stessa storia teologica avrebbe dovuto compiere passi compensativi di fronte agli eccessi di quella pretesa. Nella gloria di Dio che si pretende contemplare si nasconde spesso il narcisismo umano sublimato nel sacro. L’uomo ama fare di Dio uno specchio nel quale vedere se stesso.
Di fronte a questa fonte della più intangibile visione possibile Oberti appoggia il vetro di uno specchio, strumento di rimbalzo visivo, cortocircuito di manifestazione, implosione di relativi narcisismi. Specchio riflesso. All’osservatore resta davanti agli occhi la traccia oscura del dorso dello specchio. Resta il silenzio iconico e linquistico con cui anche noi moderni abbiamo imparato a cercare Dio. La coreografia infranta di una teologia negativa.

Don Giuliano Zanchi, 2012

 

 


 

Senza titolo (Oggetti dipinti), 2011
Specchiera, carta, grafite, polvere
96 x 81 cm.

Untitled (Painted objects), 2011
Mirror, paper, graphite, dust
96 x 81 cm.